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Castello di Rocca Imperiale - Invito e guida
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Carta della Calabria - (25Kb)

 

 

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Studio NEREO ZANE

Ottobre 2000

  Introduzione

Sono nato e cresciuto nel Castello di Rocca (fotografia - fotografia). Mia madre, Angiolina Cappa, era figlia del proprietario.

Quando il Castello è diventato bene della Comunità, ho sperato che la possibilità di visitarlo facesse venire a qualcuno il desiderio di conoscerlo meglio. Per onorare mio padre, Elena Zane (mia moglie) ed io abbiamo pubblicato le sue "Vicende Storiche e Diplomatiche del Castello e del Paese di Rocca Imperiale". (fotografia) Nè la libertà d’accesso al castello, nè questo libro (illustrato da numerose fotografie originali Zane) hanno suggerito lo studio approfondito delle strutture murarie esterne e sotterranee, delle sovrapposizioni e dei rimaneggiamenti operati nelle epoche successive alla primitiva costruzione di Federico, degli accorgimenti tecnici adottati per risolvere i numerosi problemi strutturali e funzionali imposti dalle esigenze militari del Castello e dalla necessità di assicurare riserve alimentari ed idriche agli assediati. Purtroppo, a tutt’oggi, il Castello è ancora "sconosciuto" al pubblico e i visitatori, al posto del Castello animato e parlante nel quale ho vissuto, trovano un rudere imponente, freddo, muto, opprimente.

Ai miei tempi, il Castello era animato e rumoroso. I miei genitori; mio nonno; Dora, Giuseppina, Silvia e Giuditta ("donne di servizio" che accudivano alle faccende di casa, ma che vivevano con noi giorno e notte, come persone di famiglia); io, i miei fratelli, uno o due cugini (spesso nostri ospiti, specie durante l’anno scolastico); i nostri amici e compagni di scuola; il mulattiere e i foresi; la gente che veniva in Esattoria (mio nonno, Nicola Cappa, era Esattore ); i colombi, le taccole e i gheppi (le cristarelle) : c’era sempre qualcuno che viveva, si muoveva, parlava, anche solo con la sua presenza animava l’aria. C’era quiete solo nei sotterranei (piacevolmente freschi, d’estate), dove spesso mi ritiravo per leggere.

Eccezionalmente, nelle ore più calde d’estate o di sera, tutto e tutti si fermavano: i rumori cessavano, il Castello si addormentava. Regnava un silenzio assoluto, tangibile, che si "sentiva addosso", ingigantiva, un pò alla volta ti pervadeva e ti confondeva con il mondo circostante: le colline si avvicinavano fino quasi a farsi carezzare; il cielo si approfondiva mano a mano che tentavi di scoprirne il confine; il mare (blu intenso, o a fasce azzurre di due tonalità, o verde) si ergeva (pareva un muro) a segnare un confine tra il tuo quotidiano ed il mondo esterno (reale, ma solo pensato). Alla fine, il tuo corpo non esisteva più: eri un Pensiero che si espandeva nell’infinito e con l’infinito si identificava. Poi le voci. i rumori, gli echi ricominciavano: il Castello si rianimava, riprendevi la tua dimensione. Adesso, tornando a Rocca, sento che nel Castello c’è sempre silenzio: un silenzio freddo, immateriale, mortale. Le mura, le torri, i finestroni, le pietre sembrano senza vita: è come se lo Spirito del Castello, annoiato da tanto silenzio e da tanta solitudine, si fosse ritirato a "dormire" nei sotterranei. (fotografia)

Aspettando il suo "risveglio", se vorrete seguirmi, faremo visita al Castello come ad un vecchio amico. Chi non lo conosce affatto potrà giovarsi della pianta allegata (28Kb), fatta nel 1975 dal Prof. Elio Fiore (mio fratello), alla quale rimanderò nel testo con i riferimenti posti in apice.
 

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